la nostra storia


PALEOVENETI
La storia di S.Andrea è la storia del Tergola.
Per raccontare di S.Andrea bisogna iniziare infatti dal suo territorio, nella preistoria inserito nel bacino imbrifero che dalle prealpi scolava nella laguna, caratterizzata da diversi fiumi, la Brenta, il Muson, e la Tergola, per rimanere su quelli a noi più vicini. I fiumi, prima della loro arginatura, scorrevano sul piano campagna, causando nei momenti di piena esondazioni con cambio del proprio alveo. La campagna risultava così segnata dal corso dei fiumi e, a causa di questi straripamenti, lasciava aree umide ed acquitrinose. I nostri antenati, come tutte le popolazioni primitive, dovevano avere un rapporto molto stretto con gli ambienti naturali, sopratutto con i fiumi, per poter sopravvivere: costruzioni tipo a palafitta, la barca per muoversi. Tracce storiche della presenza dell’uomo nella nostra area risalgono all’età del bronzo con ritrovamenti di utensili nell’area delle cave nei pressi di Peraga. Omero, poeta greco, parla dei veneti come allevatori di cavalli. La civiltà dei Veneti antichi durò circa mille anni. Iniziò tra il X e il IX secolo a.C. (avanti Cristo) e terminò nel II secolo a.C. quando avvenne la romanizzazione, cioè quando i Veneti diventarono simili ai Romani per lingua, costumi e abitudini.

 ROMANI
Il nostro territorio topograficamente fa parte della “CENTURIAZIONE” romana di Padova “CIS MUSONEM” (al di qua del fiume Muson), detta GRATICOLATO ROMANO.

IL GRATICOLATO ROMANO
Le guerre degli ultimi decenni A.C. avevano ridotto a livello disastroso l’economia di Roma: vinto Antonio e Cleopatra, Ottaviano Augusto fuse il tesoro d’Egitto in monete per compensare i numerosi eserciti, ma questa operazione non bastò: aveva promesso terre e premi ai veterani e ora doveva mantenere la promessa! Fu così che l’imperatore Augusto fece bonificare delle terre  e le distribuì ai soldati quale compenso per la fedeltà all’impero e per l’impegno profuso nelle guerre. La centuriazione del terreno (= la bonifica del terreno e la distribuzione ai soldati dei terreni) che coinvolge il nostro territorio è verosimilmente frutto della riforma Augustea.
I due assi principali “Cardine” e “Decumano” costituivano le basi su cui venivano poi tracciati i cardini e i decumani primari fino ad ottenere i quadri di 2400 piedi romani.
Il cardine massimo del nostro territorio è la via Aurelia (oggi Strada del Santo, a ricordo del passaggio di S.Antonio, morente); il decumano massimo invece è la strada Desman, da cui il nome.
I quadri di terreno, detti centurie, che si ottennero per i soldati nella nostra zona furono di 710,40 metri per 710,40 (2400 piedi romani). Il graticolato romano era costituito da 615 centurie per circa 3000 appezzamenti di terreno assegnati: un bel numero per quei tempi!
I grandi signori, proprietari di terre, in genere abitavano in città e avevano schiavi o servi della gleba in campagna, nei casoni. Ogni assegnatario, alla consegna del terreno, si assumeva anche l’onere di tenerlo pulito, coltivato, ordinato nei deflussi d’acqua: una vera e proria opera d’arte che giunge a noi intatta dopo venti secoli. Restano anche alcuni oggetti di vita quotidiana e alcuni manufatti di quel periodo.
L’orientamento dato dagli agrimensori è ruotato di 14° sud-ovest rispettando perfettamente l’orientamento del deflusso delle acque verso la laguna: realizzato secundum naturam e non secundum coelum. Questo spiega probabilmente il successo di questo intervento nel tempo. L’intervento di centuriazione, finalizzato al pensionamento dei legionari romani, prevede strade, e canali di scolo, per garantire nel tempo gli interventi di bonifica sui terreni. La nostra località di S.ANDREA si trova lungo il decumano SD VI. La deviazione rispetto alla rettilineità rilevabile nei pressi dell’abitato giustificherebbe la presenza di una villa al momento della definizione del tracciato della centuriazione. Nel senso del cardo, si rilevano altre alterazioni: via Bassa I non si sovrappone a via Bassa II, in direzione nord, mentre invece la stessa, via Bassa II si sovrappone all’asse fluviale del Tergolino in direzione di Reschigliano: secondo un’ipotesi geografica, l’abitato sarebbe quindi preesistente alla centuriazione. Per questo si può anche ritenere che in corrispondenza di questa villa esistesse un ponte che permetteva di passare dall’altro lato del fiume, dando quindi a S. Andrea anche una rilevanza nel territorio. L’attuale corso del fiume Tergola tra S.Andrea e Codivernarolo, raddrizzato agli inizi degli anni 60, era lo stesso che in epoca romana: la datazione con il carbonio 14 di un tronco d’albero recuperato durante degli scavi lo ha dimostrato.

LA PIEVE MATRICE DI S.ANDREA di CODIVERNO
Il Cristianesimo, alle origini, stabilisce le sue comunità dove vi erano già insediamenti civili romani: sorgono così. infatti, le Pievi. Nel IV secolo, subito dopo il martirio di S.Giustina, nobile padovana, viene a costituirsi il primo nucleo cristiano del Graticolato. La Pieve di S.Andrea di Codiverno sembra sorta nel periodo fra il 493 e il 569, successivamente alla prima pieve del territorio, S.Giustina in Colle.
Dalla Pieve matrice di S.Andrea dipendevano le comunità di Codiverno, Reschigliano, Bronzola, Fiumicello, Campodarsego, Campanigalle e forse anche Murelle.
La pieve di S.Andrea cominciò poi a perdere d’importanza nel tempo finchè si costituì una Villa-Nova con una Pieve nuova. Nel 1026 la Pieve di S.Andrea passa al monastero di S.Pietro in Padova, per donazione del Vescovo Orso, perdendo così la sua autonomia.

IL CASTELLO DI S.ANDREA
Sant’Andrea di Codiverno appare citato per la prima volta nel 1026, quando il vescovo Orso cede al monastero di San Pietro di Padova “curtis et plebs qui dicitur Ivernus…” (corte e pieve che si chiamano Iverno). Si trattava dunque di un possesso vescovile, di un’azienda dominicale provvista di pieve che verrà successivamente incastellata. Il territorio di Codiverno, all’epoca delle signorie rurali, facente capo al castello di S. Andrea, comprendeva due parrocchie: S. Andrea e la SS. Trinità, un castello, alcuni palazzi, ville e mulini.
Il castello di S.Andrea
L’ubicazione del castello di S.Andrea di Codiverno rimane tuttora sconosciuta ma certamente va ricercata “a un tiro di freccia” dall’attuale chiesa parrocchiale, nel punto in cui il Tergola si divide in due distinti percorsi. Il primo documento che parla dell’esistenza del castello è del 1148: è il documento con cui il console di Padova investe Dalismano dei Dalesmanini quale proprietario del Castello.

SPERONELLA DALESMANINI
Andrea è reso celebre da due personaggi, protagonisti di storie affascinanti e lontane, Speronella Dalesmanini e Jacopo suo figlio. La famiglia dei Dalesmanini nei secoli XII e XIII fu una delle più potenti in Padova per ricchezza e parentele. Come vassalla del patriarca di Aquileia e del vescovo di Padova, possedeva vasti beni rurali e castelli a Camponogara, Noventa, Arqua, Piove di Sacco. In città la famiglia abitava in ponte Altinate e possedeva anche l’Arena Romana, poi passata agli Scrovegni.
Speronella (1150-1199) dei Dalesmanini ebbe vita intensa e avventurosa. Appena quattordicenne fu rapita dal conte Pagano, vicario imperiale, e sequestrata nella rocca di Monselice, ma i Padovani insorsero contro l’emissario dell’imperatore e lo cacciarono. Speronella fu feudataria di un territorio che andava da Santa Maria di Non fino al mare. Era ricca, bella e molto dura nel governo delle sue terre. Ebbe in vita sei mariti: Giacomo da Carrara, il conte Pagano, messer Traversario, Pietro da Zaussano, Ezzelino II da Romano e Olderico da Monselice da cui nacque Jacopo. A lui Speronella lasciò tutti i suoi beni, ignorando la figlia Zamponia che aveva sposato, senza il suo consenso, Alberto di Baone. In due successivi testamenti dispose anche numerosi lasciti alle ville di Campodarsego; nel 1192: 50 lire alla chiesa di S. Andrea, cui è particolarmente legata e pochi altri soldi (inferiori alla lira) a Fiumicello, a Codiverno,a Reschigliano e a Bronzola; nel 1199 lasciò la maggior parte dei beni di Codiverno al monastero di S. Cipriano di Murano, dove forse fu sepolta.

JACOPO DA S.ANDREA
Jacopo di Sant’Andrea, figlio di Speronella, alla morte della madre, signora del Castello di S.Andrea, venne ad abitare al castello: da qui il nome di Jacopo da Sant’Andrea. Jacopo morì povero in seguito alla sua smodata prodigalità e dopo di lui il castello passò alla famiglia da Santa Lucia. Non avendo figli, e quindi eredi, Jacopo si pose in mente di consumare tutti i suoi beni finché era in vita per non dover lasciare ad altri il possesso dei suoi beni. Jacopo è famoso per la descrizione che ne fa Dante nell’Inferno (XIII, vv. 109-135), dove stigmatizza la folle prodigalità che lo indusse a sperperare la sua immensa fortuna. Ridotto in povertà, cercò di ricuperare alcuni beni da Tisone di Camposampiero, che li aveva acquistati, e poi di rifarsi una fortuna impadronendosi delle rendite del monastero di S. Ilario, ma causò il risentimento dei monaci e gli interventi del Doge e del Patriarca di Aquileia. L’ultima testimonianza è del cronista Rolandino che lo ricorda nel 1239 al seguito del Marchese d’Este presso Cittadella. Altre fonti lo vogliono ucciso in Padova da Ezzelino IV nel 1239.
La prodigalità di Jacopo era ancora molto nota ai tempi di Dante. I suoi commentatori riferiscono numerosi aneddoti legati a ciò: per esempio, durante una gita in barca sul Brenta si divertì a svuotare nell’acqua una borsa piena di monete o in altre occasioni si divertiva a far rimbalzare nell’acqua del Musone le monete d’oro; ancora, fece incendiare la sua villa per il solo desiderio di vedere un grande fuoco o di ritorno da una battuta di caccia con amici, in un giorno di pioggia, fece bruciare il coperto di paglia di un rustico perché gli amici si asciugassero più in fretta, compensando con dieci campi di terra il danno al contadino.

S.ANDREA NELLA DIVINA COMMEDIA
CONTESTO DEL CANTO XIII DELL’INFERNO
Virgilio e Dante si trovano all’inferno, nel girone dei violenti contro se stessi (i suicidi) e contro le cose proprie (gli scialacquatori). I suicidi e gli scialacquatori si trovano in un bosco senza sentiero (Dante li paragona a persone senza meta nella vita), senza verde (senza speranza), anzi di colore fosco, con alberi e rami nodosi con frutti tossici (non daranno frutti soavi nella loro vita). Il bosco è infestato di arpie che invece di cantare urlano e si lamentano. Negli alberi ci sono imprigionate le anime dei suicidi che ad ogni ramo spezzato si lamentano con parole e sangue.  Dopo aver parlato delle pene dei suicidi, citando Pier delle Vigne, un suicida fiorentino, il poeta parla degli scialacquatori: Lano da Siena e Jacopo (Giacomo) da S.Andrea.
Lano da Siena dissipò tutto, riducendosi in miseria, con la “brigata dei goderecci” mentre Jacopo dissipò tutti gli averi di famiglia con una vita dissoluta e prodiga. Nudi e graffiati i due scialacquatori correvano perché inseguiti da nere cagne bramose e correnti.
Jacopo, più lento del compagno, si rifugia in un cespuglio rompendo i rami e causando dolore al cespuglio stesso che incarna l’anima di un suicida fiorentino. I demoni, raffigurati dalle cagne nere, bramose e veloci, sbranano Jacopo che, immagina il poeta, pur in tanti pezzi continua a lamentarsi dimenandosi, spezzando così i rami del cespuglio e procurandogli dolore. Rivolgendosi a Jacopo il cespuglio gli dice: Non ti è servito nasconderti (farti schermo) dietro di me: che colpa ho io della tua vita sbagliata da arrecarmi così tanto dolore?

CANTO XIII INFERNO vv 109-135

 Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch’altro ne volesse dire,
quando noi fummo d’un romor sorpresi,
similemente a colui che venire
sente ‘l porco e la caccia a la sua posta,
ch’ode le bestie, e le frasche stormire.
Ed ecco due da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
che de la selva rompieno ogni rosta.
Quel dinanzi: “Or accorri, accorri, morte!”.
E l’altro, cui pareva tardar troppo,
gridava: “Lano, sì non furo accorte
le gambe tue a le giostre dal Toppo!”.
E poi che forse li fallia la lena,
di sé e d’un cespuglio fece un groppo.
Di rietro a loro era la selva piena
di nere cagne, bramose e correnti
come veltri ch’uscisser di catena.
In quel che s’appiattò miser li denti,
e quel dilaceraro a brano a brano;
poi sen portar quelle membra dolenti.
Presemi allor la mia scorta per mano,
e menommi al cespuglio che piangea
per le rotture sanguinenti in vano.

“O Iacopo”, dicea, “da Santo Andrea, 
che t’è giovato di me fare schermo? 
che colpa ho io de la tua vita rea?”. 

I VENEZIANI (1405 – 1797)
Nel 1405 Venezia, combattendo con i Carraresi, signori di Padova dal 1318, si impadronì della città. Con Venezia andò anche il castello di Campo San Piero e anche il nostro territorio di Campodarsego. Il territorio fu organizzato dai veneziani in podesterie: Campodarsego e S.Andrea facevano parte della podesteria di Camposampiero. Ogni podesteria aveva il compito di amministrare la giustizia civile, tenere i registri anagrafici, proporre modifiche a strade e fiumi, sorvegliare il buon andamento della vita quotidiana. Il Podestà, nominato dal Senato della Repubblica, aveva comunque l’autorità sopra il territorio.
E’ in questo periodo, attorno al 1600, che nascono i tipici CASONI VENETI, abitazioni prive di fondamenta con i mattoni cotti al sole, con palustri o paglia per tetto. Le sontuose ville venete che i patrizi veneziani usavano per le loro vacanze estive e per il controllo del territorio, fanno da contraltare, con la loro magnificenza, ai casoni dei contadini. Di queste ville a S.Andrea ne esistono due: Villa Selvatico Da Porto e Villa Fanzago Guillet ora Marzaro.

FRANCESI E AUSTRIACI (1797-1866)
La Rivoluzione Francese del 1789 scuote il Mondo. I Francesi di Napoleone arrivarono vittoriosi anche a Padova il 28 Aprile 1797 e al moto di Libertà, Eguaglianza e Fraternità, si proposero quali liberatori di Venezia che, perso il ruolo di potenza marinara, stava però ormai già decadendo ma, mentre i giacobini nostrani stavano archittettando progetti rivoluzionari, i Francesi, con il trattato di Campoformis (17 ottobre 1797) “regalarono” il Veneto alla Corona Asburgica.
Padova e i territori limitrofi passano di mano dai Francesi agli Austriaci e viceversa, e mai in maniera incruenta: i Francesi entrano in città, come abbiamo visto, nel marzo 1797, ne escono a fine anno a seguito degli accordi di Campoformio, rientrano nel gennaio del 1800 e rimangono per poco più di 1 anno, ritornano nel 1805 e cedono definitivamente i territori all’Austria nel 1813. Ad ogni passaggio di governo nuove tasse per finanziare le guerre, ad ogni passaggio di esercito, nuovi arruolamenti per ingrossare le truppe.  La zona rimase di fatto sotto il controllo dell’Austria fino al 1866 conoscendo una ferrea disciplina. I 53 anni di dominazione di dominazione austriaca sono costellati da vari tentativi di rivolta che culminano con l’insurrezione a Padova dell’8 febbraio 1848.
Nel 1866 entrano a Padova le truppe del Regno d’Italia e Vittorio Emanuele II arriva in città a sancirne la nuova identità italiana. Anche il territorio di Campodarsego, non più soffrendo il giogo straniero, farà parte integrante del Comune di Padova. Al primo censimento del Regno d’Italia, infatti, nel 1861 fu escluso il Veneto in quanto facente ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico.
Nel 1871 i dati del censimento riportano che a S.Andrea vi sono 62 abitanti sparsi nella campagna e 584 abitanti nel Centro per un totale di 646 abitanti su una popolazione di 3450 persone presenti nel territorio comunale.
Il 10 giugno del 1876 viene definito il perimetro del territorio del Comune di Campodarsego e delle sue frazioni, S.Andrea compresa.

IL NOVECENTO
Agli inizi del 900, con la guerra del 15-18 arriva anche per Campodarsego uno dei momenti più tristi della sua storia con il sacrificio di molti giovani compaesani: dalla prima guerra mondiale in poi, infatti, furono molti i giovani che partirono soldati e … non sempre fecero ritorno.
Agli inizi del Novecento vi sono state grandi trasformazioni sociali: nasce la Cassa Rurale ed Artigiana di Campodarsego, per opera di don Domenico Pianaro, prete rude ma di cuore buono, pieno di energie e generoso con i poveri; vengono costruiti la nuova chiesa, il campanile e la canonica; nascono le prime organizzazioni cattoliche.
A S.Andrea in quegli anni non c’erano negozi e supermarket; al venerdì c’era il mercato con vendita di vestiti, maiali, tacchini, uova,.. Il mercato del lunedì a Campodarsego arriva solo in un secondo momento, quando quello di S.Andrea comincia a perdere di importanza.
La popolazione era impiegata, per la gran maggioranza, nel lavoro dei campi anche se non mancavano alcuni artigiani.

Durante la seconda guerra mondiale le nostre famiglie hanno vissuto molta paura con i tedeschi: ricordi ancora vivi nella mente e nei cuori di molti nostri anziani che vogliono solo dimenticare e sperare nella PACE.
Per pranzo spesso minestra di fagioli (anche bianchi per far credere ai bambini che fosse brodo di carne) e polenta. Tanta polenta. Alla sera non c’era la TV e tantomeno INTERNET: la famiglia riunita nella stalla, unico ambiente caldo della casa, giocava a carte, si raccontava storie e filastrocche, lavorava le calze: era il FILO’

Le mutate condizioni sociali del dopoguerra, lo sviluppo economico e urbanistico, il benessere acquisito dopo tanti anni di povertà e stenti, ha permesso alla gente, donne comprese, di impegnarsi in molti ambiti, di studiare e formarsi, di inserirsi nel mondo del lavoro. Parallelamente, però, sono crollati anche alcuni valori tradizionali quali la famiglia, la sacralità della vita, il rispetto dell’ambiente e dei ritmi della natura, la religiosità stessa, con il conseguente relativismo etico imperante dei nostri tempi.

A noi è affidato il compiti di tramandare la fede dei nostri padri, la carità fraterna di una comunità viva, la speranza in un mondo migliore dove ciascuno occupi il proprio posto. Da protagonista. Perchè … la storia siamo noi. Con l’aiuto di Dio.